Il progetto fotografico “LIS in fiore”di Manuela Di Lodovico è stato esposto nella mostra fotografica collettiva dal titolo “Oltre l’immagine” a cura di Emanuela Amadio, docente di fotografia e consapevolezza digitale e fondatrice di Case di Fotografia, svolta in occasione del Montone Festival 2024 Tra il Sole e la Luna a Montone (TE).
“Una rosa è una rosa
se sai ascoltare il racconto delle sue spine.
Una rosa non è mai solo una rosa”
Il corpo del vento, Leandro Di Donato
“LIS in Fiore” di Manuela Di Lodovico racconta la lingua dei segni italiana (LIS) con poesia e leggerezza, creando uno spazio di inclusione e comprensione reciproca tra persone udenti e sorde.
L’idea progettuale è nata nel 2023, in occasione di un corso individuale di Case di fotografia; l‘anno successivo l’autrice ha seguito un corso di LIS, che ha gettato le basi per un progetto fotografico personale.
Partendo dal suo giardino, grande fonte d’ispirazione, ha cercato le prime analogie tra i segni che rappresentano le lettere dell’alfabeto e le forme dei fiori, per dedicarsi, successivamente, ai concetti astratti e ai nomi propri.
Prende vita un set fotografico domestico con luci da studio e fondali colorati in cui le sue mani disegnano metafore visive ed entrano in dialogo con il mondo floreale.
Il progetto si divide in quattro capitoli: alfabeto di base, segni nome, emozioni e ascolto.
“LIS in Fiore” è un viaggio visivo che celebra la bellezza e la complessità della lingua dei segni.



Ringrazio:
Dedico questo progetto alla mia cara amica Michela Pantaleoni: il fiore che sempre porterò “nella tasca destra in alto”.
Originaria di Poggio delle Rose (TE), un piccolo ombelico di terra teramana del comune di Cermignano, dalla maggiore età ai 26 anni ha vissuto, studiato e lavorato a L’Aquila, città di adozione a cui si sente profondamente legata.
Laureata in Economia e commercio con una tesi sperimentale sul marketing discografico, ha svolto sempre lavori di tipo amministrativo contabile, continuando a coltivare la passione per la fotografia!
La trentesima edizione del Montone Festival 2024 Tra il Sole e la Luna ospiterà, nei locali del sottobelvedere, una mostra fotografica collettiva dal titolo “Oltre l’immagine” a cura di Emanuela Amadio, docente di fotografia e consapevolezza digitale e fondatrice di Case di Fotografia, la scuola di fotografia itinerante dedicata a didattica ed educazione digitale.
I lavori esposti sono il risultato di progetti personali riguardanti argomenti diversi e sono nati all’interno di un percorso di coaching e mentoring fotografico che gli autori e le autrici hanno svolto nell’arco di otto mesi, all’interno della 2° edizione del corso di progettualità e cultura visita “Oltre l’immagine”, guidato dalla stessa Emanuela Amadio e dal quale la mostra prende il nome.
Nella collettiva trovano spazio l’interpretazione dei colori, la memoria e le foto vernacolari, il valore del nucleo familiare, il linguaggio dei segni, la salute mentale, la forma delle nuvole e i flussi migratori nel Mediterraneo.
L’identità di ogni progetto è stata curata con attenzione e dedizione, dall’ideazione alla mostra. Sono state scelte con cura le immagini, le dimensioni, i supporti di stampa e la sequenza espositiva, per accompagnare ogni visitatore alla scoperta delle singole storie, ricche di suggestioni visive e sensoriali.
Informazioni per visitare la mostra
La mostra è allestita nei locali del sottobelvedere a Montone (Te) e aprirà le porte al pubblico giovedì 1 agosto 2024. Sarà visitabile gratuitamente fino al 4 agosto 2024, nella fascia oraria 21:00-24:00.

La mostra allestita in occasione della 30° edizione del Festival Tra il Sole e la Luna di Montone (TE) è il risultato tangibile del percorso che abbiamo svolto nell’arco di otto mesi, durante la 2° edizione del corso di progettualità e cultura visiva “Oltre l’immagine”.
I fotografi e le fotografe hanno sviluppato un progetto personale riguardante un argomento a cui erano particolarmente legati: l’interpretazione dei colori, la memoria e le foto vernacolari, il nucleo familiare, la lingua dei segni, la salute mentale, la forma delle nuvole e i flussi migratori nel Mediterraneo.
Ogni progetto ha una sua identità: abbiamo scelto con cura le immagini, le dimensioni e i supporti di stampa, la sequenza espositiva per accompagnare nel miglior modo possibile chi visiterà la mostra alla scoperta di una storia, ricca di suggestioni visive e sensoriali.
Buona visita!
Emanuela Amadio
curatrice della mostra
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In occasione della 1° edizione di Vignaioli in Fortezza, festival indipendente di vini artigianali, organizzato a Civitella del Tronto (TE) il 12 e il 13 maggio 2024, ho avuto il piacere di curare la mostra fotografica di Marco Di Marcantonio, fotografo teramano specializzato in fotografia sociale. Conosco Marco da diversi anni e apprezzo molto il suo lavoro, per cui sono stata felice di occuparmi della sua mostra personale dal titolo “Il rito perduto: l’antica pratica dell’uccisione del maiale”.

Se sei un* appassionat* di fotografia o un* fotograf* che muove i primi passi nel mondo professionale, questo paragrafo è di grande aiuto. Se, invece, hai esperienza con le mostre fotografiche, saprai sicuramente quanto sia importante il ruolo di un* curator* per valorizzare il proprio lavoro.
Immaginiamo la mostra fotografica come un iceberg: la parte emersa rappresenta le fotografie in mostra, la parte sommersa tutto il lavoro che viene svolto nelle settimane o nei mesi precedenti all’evento dall’autore e da altre figure professionali coinvolte nel progetto. Se le persone che visitano la mostra tornano a casa con la sensazione di aver compreso e apprezzato il lavoro esposto e di aver trascorso del tempo di qualità, il lavoro di curatela è stato svolto in modo ottimale!
Curare una mostra significa:
1. scegliere la location più adatta per il progetto
Per la mostra “Il rito perduto” abbiamo esaminato 4-5 spazi espositivi al chiuso e all’aperto, nel borgo di Civitella del Tronto. La scelta è ricaduta su un androne con la muratura a vista, sufficientemente ampio per accogliere le immagini selezionate, perfetto anche in caso di pioggia e in linea con il tema del progetto fotografico.
2. individuare la sequenza definitiva del lavoro
Scegliere le immagini è una delle attività più complesse, anche per i fotografi professionisti. Per questo motivo esistono figure professionali specifiche (photo editor e curatori) che creano o aiutano a definire una struttura narrativa efficace, tenendo in considerazione il contesto in cui il lavoro viene esposto e il pubblico a cui è indirizzato.
3. scegliere dimensioni e supporto di stampa
Quando si pensa alle foto stampate, la prima immagine che viene in mente è il classico formato 10 x 15 cm su carta lucida, tipica degli album di famiglia. In realtà, esistono infinite soluzioni di stampa, dalle più tradizionali alle più creative: supporti rigidi, stampe con cornici, stampe sciolte applicate alle pareti con dimensioni e carte diverse. In questo caso Marco aveva già le idee chiare: ha scelto una carta Hahnemühle Photo Rag e una cornice classica di colore nero con passepartout bianco.
4. proporre soluzioni allestitive che valorizzino le fotografie
Le scelte espositive si basano su diversi criteri: il budget a disposizione, la tipologia di lavoro e, ovviamente, lo spazio in cui la mostra verrà allestita. Lo spazio non è mai neutro, ma contribuisce attivamente all’esperienza del visitatore e a come le immagini vengono percepite. Per “Il rito perduto” ho proposto 3 soluzioni espositive differenti (Fig.2) e Marco ha scelto la narrazione per dittici (coppie di immagini). Nel testo critico, poco più avanti, troverai un approfondimento su questo aspetto.
5. produrre contenuti testuali per presentare il progetto
Il detto “una fotografia parla più di 1000 parole” porterebbe a pensare che le immagini non abbiano bisogno di accompagnamento testuale. Eppure ogni mostra inizia proprio con un testo introduttivo, che presenta l’autor* e il lavoro, e consente a chi entra nello spazio espositivo di acquisire le informazioni più importanti.
In questo caso, abbiamo realizzato un pannello di sala con l’introduzione scritta da Marco, la sua biografia e il mio testo critico, che troverai nel paragrafo successivo.
La curatela di una mostra, anche fotografica, include tanti altri aspetti che, in questo caso, non sono stati affrontati, come il fundraising e la promozione dell’esposizione.
Se desideri approfondire questo argomento, ti consiglio di leggere il libro “The Curator’s Handbook” di Adrian George, edito da Thames & Hudson.

Riti di passaggio, sacrifici propiziatori, balli e ninne nanne sussurrate all’orecchio.
Dagli anni Sessanta Ernesto De Martino, antropologo ed etnologo meridionalista, ha condotto i lettori nel ventre di un’Italia minore, ricca di storie mai raccontate.
Grazie al contribuito di autori e autrici impegnati nella fotografia sociale, si costruisce, gradualmente, una geografia visuale della penisola, in cui le tradizioni millenarie convivono con la ripresa economica e le lotte studentesche.
Mario Cresci, Ferdinando Scianna, Mario Giacomelli sono alcuni dei grandi fotografi andati alla ricerca delle radici in luoghi remoti, oggi perduti.
Del paesaggio sonoro del nostro Abruzzo si è preso cura don Nicola Iobbi, un parroco animato da una grande passione per l’etnomusicologia e la fotografia. Ha dato voce, con le sue registrazioni, alla comunità montana del Gran Sasso, salvando dall’oblio poesie, filastrocche e canti in dialetto.
“Il rito perduto: l’antica pratica dell’uccisione del maiale” di Marco Di Marcantonio s’inscrive nel solco tracciato dalla fotografia sociale e dell’antropologia degli anni Sessanta e Settanta, alla ricerca di tradizioni autentiche e immutate nelle zone più isolate d’Italia, come Cavuccio, piccola frazione del comune di Teramo, in cui il tempo continua a essere scandito dal ciclo delle stagioni.
Sappiamo che le catene montuose, come le colline, uniscono e al tempo stesso separano: le piccole comunità custodiscono più facilmente le ritualità, grazie al loro isolamento geografico, ma al tempo stesso combattono contro lo spopolamento e l’overtourism, per tenere al riparo le tradizioni da un mondo globalizzato che cambia troppo velocemente.
La mostra è un’ode alla lentezza e all’ecologia dello sguardo, invita il visitatore a cogliere il significato delle immagini, senza fretta, soffermandosi sul valore simbolico di dettagli e oggetti rituali.
Una mano, le setole irte del maiale, il proiettile, il sangue, il bicchiere di vino.
Le foto procedono a coppie, lentamente, come il protagonista della storia raccontata da Marco Di Marcantonio, di cui vediamo il bagliore degli occhi, nell’oscurità della stalla.
I frammenti di azioni sono una metafora visiva: la metonimia. La parte per il tutto, proprio come nelle poesie: il ramo allude all’intero albero, la zampa sospesa al maiale.
Nel progetto fotografico sono le mani e i piedi dei personaggi a guidarci nella storia, a mostrarci le lame e i proiettili che decreteranno la fine di una vita e l’inizio di un nuovo anno di abbondanza e prosperità, secondo la tradizione contadina.
Lo sguardo del visitatore si sposta gradualmente dall’alto verso il basso, guidato dalle analogie formali che ricorrono tra una foto e l’altra, dall’alternanza di azioni e dettagli e dal rosso cupo del sangue che intride il terreno.
Il fotografo allude alla macellazione, senza soffermarsi sugli aspetti più cruenti, per dare spazio e importanza al momento conviviale che chiude il cerchio della ritualità.
Dopo aver lavorato le carni e ricavato, dagli scarti, cicoli e sanguinaccio, i protagonisti si stringono intorno al tavolo per condividere un pasto insieme, con un bicchiere di vino in mano, dandosi appuntamento all’anno successivo.
Un anno è un tempo quasi infinito se paragonato alle logiche della grande distribuzione e alla sovrapproduzione dell’allevamento intensivo, completamente estranee a un processo che garantiva il sostentamento delle famiglie abruzzesi nei lunghi mesi invernali.
Un anno è il tempo rituale che dà valore e sacralità alle azioni ereditate dal passato, in un presente in cui l’approvvigionamento di cibo non è più il punto nodale, ma il “fare insieme” resta il collante di una frazione di duecento abitanti.
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Hai un progetto fotografico work in progress e ti piacerebbe trasformarlo in una mostra o in una fanzine?
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Uno degli aspetti più gratificanti del mio lavoro con Case di Fotografia è accompagnare i docenti nelle fasi di sviluppo e attuazione di progetti che riguardano il linguaggio fotografico. Le consulenze individuali rappresentano un modo concreto per sostenere il lavoro di tanti insegnanti motivati che desiderano acquisire competenze tecniche e familiarità con gli strumenti digitali per svolgere un’attività fotografica nella propria classe.
L’attività svolta con la professoressa Giuseppina Zara è sicuramente una delle più soddisfacenti dell’ultimo anno scolastico.
Giuseppina Zara insegna italiano e storia nell’Istituto Comprensivo Imondi-Romagnoli di Fabriano; ci siamo conosciute alcuni anni fa durante un corso di formazione dedicato al diario delle emozioni, tenuto da me per La tecnica della scuola.
Dopo questa prima esperienza online abbiamo avuto l’occasione di lavorare insieme in presenza e realizzare con la sua classe un’audioguida tattile hi-Storia, che rappresenta il Complesso del Buon Gesù, nel centro storico di Fabriano.

Qui puoi trovare maggiori informazioni sui laboratori hi-Storia, dedicati alla valorizzazione del patrimonio culturale attraverso la fabbricazione digitale.
Quest’anno Giuseppina ha deciso di approfondire il linguaggio fotografico e di preparare degli esercizi pratici in vista del viaggio d’istruzione a Urbino, che ha coinvolto due classi seconde.
Studenti e studentesse hanno raccontato i momenti più importanti della giornata utilizzando la fotocamera dello smartphone. In questo scatto possiamo vedere il risultato finale: la mostra fotografica allestita a scuola come momento conclusivo dell’attività didattica per presentare il lavoro svolto alle famiglie.

Ora facciamo un passo indietro per capire com’è nato questo progetto!
A gennaio Giuseppina ha seguito con me delle lezioni in streaming per apprendere le basi della smartphone photography.

Cosa intendiamo con questo termine?
La smartphone photography si riferisce allo strumento che più di ogni altro usiamo più volte nell’arco della giornata e teniamo costantemente in tasca: il telefono.
I modelli di smartphone degli ultimi anni consentono di scattare foto di buona qualità, anche in condizione di luce scarsa o con soggetti molto distanti da noi, grazie all’introduzione di un comparto lenti più performante.
Molte persone che si avvicinano per la prima volta alla fotografia mobile pensano che scattare sia così immediato da non richiedere particolari competenze tecniche. Tuttavia, è importante sottolineare che la maggior parte dei modelli offre un menu che va ben oltre il semplice pulsante di scatto, offrendo una vasta gamma di opzioni e funzionalità da esplorare.
Vale la pena conoscere le potenzialità del proprio strumento!

Ho accompagnato Giuseppina in un percorso dedicato alla tecnica fotografica e all‘interpretazione delle immagini. Settimana dopo settimana abbiamo sperimentato la gestione della messa a fuoco e della temperatura colore, le panoramiche, i tempi di scatto lenti e l’autoscatto.

Queste sono alcune delle funzionalità che possiamo mettere in pratica in un corso di smartphone photography!
La fase di sperimentazione è fondamentale per poter guidare successivamente i ragazzi e le ragazze negli esercizi pratici.
Per tutta la durata del corso Giuseppina ha tenuto un diario fotografico del quotidiano, di cui vi mostro alcune pagine. Si tratta di un esercizio davvero utile, che propongo in tutti i corsi di tecnica e cultura fotografica. È un’occasione per allenare lo sguardo quotidianamente e tener traccia di abitudini, incontri, dettagli che catturano la nostra attenzione ed emozioni.


Nella seconda parte del corso ci siamo concentrate sulla preparazione dell’’esercizio fotografico da svolgere durante il viaggio d’istruzione.
Guardare le foto ricordo scattate da ragazzi e ragazze in gita è un bel momento di condivisione, ma senza una pianificazione a monte può risultare difficile per il docente selezionare delle foto significative della giornata.
Per questo motivo ho consegnato a Giuseppina una scheda di progettazione da compilare insieme alla sua classe. Studenti e studentesse hanno individuato i momenti importanti del viaggio – la partenza con l’autobus, le visite guidate, il giro per il centro storico, il rientro a casa – e preparato lo storyboard, immaginando le foto da scattare, sulla base di quanto scritto nella scheda di progettazione.


Qualche giorno prima della partenza, abbiamo preparato un questionario per la consegna delle fotografie. Google Moduli è perfetto per gestire questa fase del lavoro: in pochi minuti studenti e studentesse possono caricare le foto a loro assegnate, direttamente dallo smartphone.
La fase di editing, ossia la selezione, la svolgo solitamente con Adobe Bridge, un software professionale che mi consente di applicare etichette e valutazioni alle singole foto e creare la sequenza definitiva.

L’alternativa gratuita da usare a scuola è Google Drive: proiettando sulla LIM le fotografie si possono coinvolgere facilmente gli studenti chiedendo loro di selezionare le foto definitive per la mostra.

Ho dedicato le ultime lezioni con Giuseppina alla preparazione della mostra in cui esporre le fotografie scattate durante il viaggio d’istruzione.
Chi insegna a scuola sa bene che non è facile trovare una parete libera a disposizione in cui appendere i lavori degli studenti!
Dopo un’attenta ricerca, abbiamo individuato uno spazio sufficientemente ampio per esporre le 40 fotografie selezionate.

Abbiamo progettato l’allestimento della mostra fotografica con Canva; ho creato un template, che riproduce la parete in scala 1:10, in cui disporre le fotografie e i contenuti testuali.
Questa soluzione è ottima per coinvolgere le classi nell’allestimento: basta osservare lo schema per disporre le foto nella sequenza corretta e lasciare uno spazio adeguato tra una stampa e l’altra.
Inoltre, compilando il template, è possibile calcolare le dimensioni di stampa delle fotografie e preparare facilmente i file da mandare in tipografia.
La docente ha infine realizzato delle prove di stampa per scegliere la carta fotografica più adatta e valutare l’inserimento di una cornice bianca.

Successivamente abbiamo raccolto approfondimenti video e audio registrati da ragazze e ragazzi; i contenuti sul Palazzo Ducale di Urbino e il Museo del Balì sono stati associati ai QR code, stampati e inseriti nell’allestimento, in corrispondenza delle fotografie che descrivono i luoghi visitati.

La fase di preparazione si è conclusa con l’acquisto di un visore VR per esplorare gli spazi del palazzo ducale di Urbino. In questo progetto, abbiamo optato per l’utilizzo di contenuti preesistenti per la realtà virtuale e aumentata disponibili online. Tuttavia, nel contesto di un laboratorio didattico della durata di 30 ore, è possibile sviluppare nuovi contenuti coinvolgendo attivamente le classi in tutto il processo.
Eccoci tornati al punto di partenza, con la mostra allestita e le classi soddisfatte del lavoro svolto!

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